Tassazione degli investimenti
Guida completa alla tassazione degli investimenti finanziari in Italia
📌 In sintesi
Cosa imparerai:
- Le 4 imposte principali: imposta di bollo, redditi da capitale, redditi diversi, Tobin tax
- La differenza tra regime amministrato e dichiarativo
- Come funziona lo zainetto fiscale e la compensazione minusvalenze
- Storture fiscali: ETF come reddito da capitale, obbligazioni emesse sotto 100, ETF non UCITS
Tempo di lettura: ~14 minuti
Gravano circa quattro imposte principali sui rendimenti finanziari, in questo capitolo le vedremo una per una.
Imposta di bollo
L'imposta di bollo grava sull'estratto conto, cioè sul foglio di carta che viene spedito una volta all'anno dalla banca. Lo Stato italiano ha pensato bene di rendere l'invio dell'estratto conto obbligatorio almeno una volta l'anno, così da rendere obbligatorio il pagamento dell'imposta di bollo. Questa imposta è pagata dall'intermediario italiano.
L'imposta di bollo sui conti correnti è pari a circa 34 € all'anno, se ricevete l'estratto conto ogni mese l'imposta di bollo sarà divisa per 12. Questo ovviamente è da aggiungere a eventuali spese per l'invio dell'estratto conto cartaceo, per cui le banche solitamente fanno pagare una piccola quota.
L'imposta di bollo si paga solamente nel momento in cui sul conto corrente (o sui conti correnti se attivi tutti sulla stessa banca) si supera una giacenza media di 5000 euro nel periodo di riferimento. La giacenza media sul conto corrente rappresenta la media dei saldi giornalieri presenti sul conto durante un determinato periodo di tempo. Questo calcolo è comunemente utilizzato per determinare il valore medio di denaro disponibile sul conto durante un periodo specifico e può essere utilizzato anche per altri scopi, come ad esempio per il calcolo degli interessi, per valutare la liquidità del conto ai fini ISEE.
Per calcolare la giacenza media sul conto corrente, si seguono generalmente questi passaggi:
Registro delle operazioni giornaliere: registra tutti i movimenti di denaro sul conto corrente, compresi depositi, prelievi, bonifici, accredito di interessi, e così via.
Calcolo del saldo giornaliero: calcola il saldo del conto corrente alla fine di ogni giorno, sommando o sottraendo gli importi delle transazioni giornaliere dal saldo precedente.
Somma dei saldi giornalieri: somma tutti i saldi giornalieri registrati durante il periodo preso in considerazione.
Divisione per il numero di giorni: dividi la somma ottenuta per il numero totale di giorni nel periodo preso in considerazione.
È da notare che, nel caso in cui si stia considerando l'apertura di due conti correnti presso lo stesso intermediario al fine di distribuire la liquidità ed evitare il pagamento dell'imposta di bollo, si dovrà affrontare una spiacevole sorpresa. Qualora la somma delle giacenze medie di entrambi i conti superi i 5.000 €, l'imposta di bollo sarà applicata su entrambi i conti, portando l'importo totale a circa 68 € anziché 34 €.
Tuttavia, la situazione cambia se i conti sono aperti presso intermediari diversi. Oltre ai vantaggi evidenti della diversificazione degli intermediari, la distribuzione della liquidità su conti correnti presso intermediari distinti è una scelta eccellente. In questo caso, resta solo l'obbligo di pagare l'imposta di bollo su ciascun conto corrente se la giacenza media supera i 5.000 € su quel particolare conto.
Per i conti cointestati si suppone che siano in quote uguali e quindi la soglia è moltiplicata per il numero di correntisti.
L'imposta di bollo grava anche sui conti correnti esteri col nome di IVAFE (Imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero). Il suo calcolo è sostanzialmente identico su base annuale, ma va dichiarata e pagata in dichiarazione dei redditi (quadro RW per modello RedditiPF, quadro W per modello 730).
Imposta di bollo per i conti titoli e i conti deposito
In questo caso l'imposta di bollo è pari allo 0,2% di quanto presente sul conto al momento dell'emissione dell'estratto conto. Non viene fatta nessuna media ma il costo è esattamente pari allo 0,2% di quello che c'è scritto sull'estratto conto quando viene emesso (solitamente a fine anno, oppure trimestralmente). Questa imposta è pagata dall'intermediario italiano.
Nel caso di conti titoli/deposito presso un intermediario estero, vanno indicati gli investimenti nel quadro RW del modello RedditiPF o quadro W del modello 730 e va pagata l'imposta IVAFE, che è sempre lo 0,2%, ma su tutti i titoli che si sono posseduti durante l'anno e rapportata al tempo per cui si sono detenuti i titoli. Quindi ad esempio se i titoli fossero detenuti dal 1/3 al 1/9, dovrebbe corrispondere allo 0,1% di quanto detenuto al 1/9.
È al vaglio una norma per portarla allo 0,4% per i conti titoli/deposito presso intermediari esteri.
Imposta sui redditi da capitale
L'imposta sui redditi da capitale riguarda i guadagni derivanti da investimenti di capitale. La definizione di reddito da capitale è un concetto astratto e creato dal fisco, distinguendolo da altri tipi di redditi, in particolare, per il fisco italiano un reddito da capitale è un reddito certo che deriva dal fatto che si abbia un capitale investito. In questo contesto, la parola "certo" non è da intendersi come "in quantità certa" ma piuttosto come "è certo che arriveranno", tuttavia, basta leggere quali sono questi redditi per capire che non è assolutamente vero che è certo che arriveranno. Sono indicati come redditi da capitale questi redditi:
1. Dividendi azionari
già qui si capisce che la definizione è un po' campata per aria, perché non è assolutamente detto che i dividendi azionari arrivino.
2. Le cedole delle obbligazioni
come sopra ma con un tantino di sicurezza in più che arrivino effettivamente.
3. Gli interessi sui conti correnti e su conti deposito
le banche possono fallire tranquillamente, chiaramente meno probabilmente del calo delle azioni.
4. Le plusvalenze degli ETF
Guardare il paragrafo 15.5.5. I redditi da ETF NON sono plusvalenze ma reddito da capitale. Questo si verifica solo quando siano plusvalenze e non quando siano minusvalenze.
La tassazione su questi redditi è al 26% senza detrazioni o sconti, nemmeno per commissioni pagate. Tuttavia, nel caso di obbligazioni di tipo governativo o di un fondo obbligazionario che detiene obbligazioni governative di stati non considerati paradisi fiscali la tassazione è ridotta al 12,5%.
Se si ricevono dividendi da aziende estere, si può subire una doppia imposizione, con il paese estero che tassa inizialmente i dividendi e l'Italia che tassa nuovamente al 26% quando i dividendi arrivano nel paese e spesso viene tassata sul lordo prima della tassazione estera, cornuto e mazziato. Nonostante ci siano convenzioni per evitare la doppia imposizione, il processo burocratico per applicare tali convenzioni può essere complesso e richiedere il pagamento di marche da bollo.
L'intermediario italiano provvede in automatico al pagamento di questa imposta. Per intermediari esteri bisogna dichiararli nel quadro RM del modello RedditiPF oppure nel rigo L8 del modello 730 (modelli del 2024, speriamo non cambi rigo).
I tre regimi di tassazione dei redditi diversi
In Italia esistono tre regimi di tassazione per i redditi diversi: il regime gestito, il regime amministrato e il regime dichiarativo.
Regime Gestito (se avete questo tipo di tassazione state seguendo il corso sbagliato):
Nel regime gestito si prevede una gestione patrimoniale in cui si affida all'intermediario la totale gestione dei soldi senza particolari indicazioni da parte del cliente. Le imposte vengono pagate in base a quanto è accaduto durante l'anno anche se non si è venduto nulla. Non vengono forniti dettagli specifici sulle modalità di pagamento di questa imposta, ma si sottolinea che è un'opzione per coloro che desiderano affidare completamente la gestione all'intermediario.
Regime Amministrato (per chi ha bisogno di questo corso, conviene questo tipo di regime):
Nel regime amministrato, l'intermediario italiano gestisce attivamente le imposte per conto del cliente. Questo significa che tutte le imposte sulle plusvalenze vengono direttamente gestite e pagate dall'intermediario. Le imposte vengono addebitate direttamente al cliente ogni volta che effettua un'operazione.
Questo regime è disponibile solo per intermediari italiani.
Regime Dichiarativo (assolutamente da evitare per chi non sa fare bene i conti o chi non vuole avere problemi):
Nel regime dichiarativo, le tasse sono calcolate in modo identico a quelle del regime amministrato, ma la differenza è che il cliente è responsabile di pagare le tasse direttamente, presentando la dichiarazione dei redditi dell'anno successivo (quadro RT del modello RedditiPF, per il modello 730 è necessario presentare anche il quadro RT). Viene sottolineato un lieve vantaggio nel fatto che si pagano le tasse con un anno di ritardo, ma si fa notare anche che è obbligatorio per chi sceglie un intermediario estero.
È menzionato che in questo regime, il cliente deve avere tutti i calcoli dettagliati e pronti nel caso si presenti un accertamento.
Redditi diversi
La categoria di reddito nota come "redditi diversi" colloquialmente corrisponde alle plusvalenze o minusvalenze finanziarie. Nel contesto dell'acquisto di strumenti finanziari come azioni, si determina un prezzo di carico rappresentante il costo di acquisto, al quale si aggiungono le commissioni relative ad acquisto e vendita. Quando l'oggetto viene venduto, il ricavo, dedotto il costo originale e le commissioni, genera la plusvalenza (positiva) o minusvalenza (negativa).
Il fisco applica una tassazione del 26% sulla plusvalenza, a meno che non si tratti di una plusvalenza derivante dalla vendita di obbligazioni governative non incluse nell'elenco dei paradisi fiscali, situazione in cui l'imposta è del 12,50%. Tuttavia, esiste la possibilità di compensare la plusvalenza con minusvalenze presenti nell'apposito "zainetto fiscale", un estratto conto fornito da ogni banca. Ad esempio, se si ha un'azione venduta in perdita (con una minusvalenza di 1.000 €) e successivamente un'altra azione viene venduta con un guadagno di 1.500 €, si pagherà l'imposta solo su 500 €, utilizzando la minusvalenza dello zainetto fiscale.
Va notato che la compensazione presenta alcune complicazioni, in quanto vi sono minusvalenze tassate al 12,50% e altre al 26%. Se le minusvalenze derivano da vendite in perdita di obbligazioni tassate al 12,50%, hanno un valore ridotto. D'altro canto, utilizzando minusvalenze da azioni in perdita per compensare guadagni su obbligazioni, la compensazione risulta più efficace, poiché le obbligazioni rientrano nella tassazione al 12,50%. Tale scenario contribuisce a creare una notevole confusione fiscale. In generale, tuttavia, è possibile compensare varie minusvalenze con plusvalenze, rendendo l'intero processo abbastanza flessibile, pur rimanendo entro determinati limiti.
Questo sistema permette quindi di godere delle minusvalenze per compensare la tassazione sulle plusvalenze, sia con azioni per obbligazioni, sia viceversa. Tuttavia, ci sono alcuni limiti:
1. Durata dello zainetto fiscale:
Le minusvalenze all'interno dello zainetto fiscale hanno una durata di quattro anni. Questo accade perché in passato, quando le transazioni finanziarie venivano registrate su carta, mantenere traccia di tali dati per un lungo periodo richiedeva sforzi considerevoli. Come retaggio di quel passato, le minusvalenze possono ad oggi essere utilizzate solo per l'anno in corso e per i quattro anni successivi.
Ad esempio, le minusvalenze accumulate precedentemente, come ad esempio quelle delle azioni in perdita vendute a settembre 2023, possono essere utilizzate fino al 31 dicembre 2027. Tuttavia, se non vengono utilizzate entro tale termine, scadranno. Queste minusvalenze sono importanti poiché riducono l'imposta da pagare, funzionando come uno sconto fiscale.
Alcuni individui si trovano nella situazione in cui le loro minusvalenze stanno per scadere e cercano modi per ottenere rapidamente plusvalenze. Questo non è un compito facile, poiché molte altre persone cercano la stessa cosa per motivi simili. Tuttavia, per chi ha bisogno di queste plusvalenze in modo particolare perché sono esentasse, il problema diventa ancora più complesso.
2. I titoli in perdita vanno venduti prima dei titoli in guadagno
Secondo le disposizioni di legge, è possibile generare la minusvalenza prima di utilizzarla per scontarla da eventuali plusvalenze. Formalmente, ciò può essere fatto anche nel medesimo giorno. In pratica, è consigliabile, per prudenza, eseguire l'operazione in due fasi distinte: prima generare la minusvalenza e successivamente, il giorno seguente, utilizzarla per vendere qualcosa in attivo.
Una strategia comune per combattere la tassazione è quella di vendere alcuni titoli in passivo per compensare la tassazione della vendita di titoli in attivo. In particolare, nel momento in cui dovessimo avere un forte incremento del valore di un asset, che comporterebbe una forte plusvalenza, potremmo pensare, prima di vendere quell'asset, di vendere alcuni asset in negativo, in corretta proporzione, per abbassare la tassazione sulla plusvalenza, che sarebbe altrimenti molto alta (proporzionalmente al guadagno).
In particolare, se ci sono minusvalenza in scadenza, può essere utile cercare quali titoli si hanno in attivo per venderli, consapevoli del fatto che non si sa l'andamento futuro degli asset in possesso.
Un aspetto notevole riguardo alle minusvalenze è la possibilità di trasferirle gratuitamente e senza oneri nel caso in cui si chiuda un conto titoli, ad esempio, per il trasferimento di tutti i titoli presso un nuovo intermediario. Questa opportunità è resa possibile grazie alla legge introdotta da Bersani, che consente il trasferimento gratuito di tutti i titoli da un intermediario all'altro. In questo processo, le minusvalenze vengono certificate e possono essere trasferite. Chiudendo un conto titoli, si certificano le minusvalenze, e questa certificazione può essere fornita a qualunque intermediario italiano, che la tiene in considerazione, oppure addirittura utilizzata in dichiarazione per plusvalenze su intermediari esteri o in regime dichiarativo.
Un piccolo vantaggio in questo caso lo hanno coloro che operano in regime dichiarativo. In questo regime, l'utente ha la flessibilità di guardare l'intero anno fiscale, consentendo la compensazione di tutti gli eventi, indipendentemente dal momento in cui sono avvenuti. Ad esempio, se si ha un guadagno a gennaio e una perdita a dicembre, è possibile compensare questi eventi nella dichiarazione annuale. Nonostante questo vantaggio è bene fare attenzione, soprattutto per chi ha bisogno di questo corso, alle difficoltà del regime dichiarativo.
Storture fiscali
ETF UCITS
Quando si acquistano ETF o fondi, e non, ad esempio, ETC, ETP o ETN, è essenziale che l'ETF sia conforme alle normative UCITS, un acronimo che indica la conformità alle regolamentazioni europee.
Mentre è possibile acquistare ETF non conformi alle normative europee, è probabile che un intermediario europeo non li offra se non a clienti professionali. Se si utilizzasse un intermediario non europeo, la disponibilità potrebbe essere diversa. Tuttavia, è consigliabile prestare attenzione quando si acquistano ETF non conformi alle normative UCITS, poiché questi non rientrano nella categoria di redditi finanziari ma la loro vendita in attivo va dichiarata direttamente nel quadro RL della modello RedditiPF o rigo D2 del modello 730. Non c'è modo di far fare il pagamento dell'imposta sulle plusvalenze all'intermediario.
Va sottolineato che questa particolare stortura potrebbe offrire vantaggi fiscali in certi contesti, ad esempio, in situazioni di basso reddito. Tuttavia, è responsabilità dell'investitore inserire manualmente queste informazioni nella dichiarazione dei redditi. Alcuni intermediari europei potrebbero non proporre altri prodotti, oltre a quelli armonizzati secondo le normative europee, e, nel caso si volessero acquistare prodotti più "bizzarri", è consigliabile fare attenzione al trattamento fiscale e dichiarativo, poiché potrebbe richiedere un inserimento manuale nella dichiarazione.
ETF obbligazionari misti
Vengono indicati come misti gli ETF obbligazionari composti sia da obbligazioni governative che da obbligazioni aziendali. Questi, a norma, dovrebbero avere una tassazione che è una via di mezzo tra il 12,50% e il 26%. Il problema è che la tassazione che si riceve è quella del momento in cui si vende, quindi la composizione può cambiare (potrebbero in alcuni momenti esserci più obbligazioni governative e in altri momenti più obbligazioni corporate in quell'ETF), quindi non è detto che il calcolo sia sempre fatto secondo la regola e potrebbe darsi che i guadagni su questi tipi di ETF siano tassati al 26%. Quindi, nel caso in cui si dovessero comprare ETF obbligazionari, potrebbe avere senso dividere tra governativi e corporate.
Obbligazioni emesse a meno di 100
Immaginiamo di avere delle minusvalenze in scadenza tra tre anni. Vogliamo quindi avere un guadagno entro tre anni. Comprando azioni questo guadagno è chiaramente incerto, soprattutto per un arco di tempo così breve rispetto al normale arco di tempo per gli investimenti azionari. Allora si potrebbe pensare di acquistare un'obbligazione zero coupon, che non paga cedole, ma sicuramente genererà una plusvalenza grande alla fine del periodo, grazie alla differenza, solitamente più grande rispetto ad altre obbligazioni, tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita. Infatti, normalmente, un'obbligazione zero coupon potrebbe essere acquistata a 90 e venduta a 100, con un guadagno, salvo le commissioni, di 10.
Le cedole e i dividendi non sono compensabili con le minusvalenze, solo le plusvalenze sono compensabili.
Con un guadagno così alto si potrebbe pensare di compensare ampiamente con le minusvalenze in nostro possesso e in scadenza tra tre anni.
Tecnicamente è fattibile, ma c'è un problema: se l'obbligazione che si usa per compensare le minusvalenze è stata emessa a meno di 100, la plusvalenza non viene conteggiata interamente, ma esiste un calcolo complicatissimo che viene fatto, in cui una parte del guadagno è conteggiata come reddito da capitale e un'altra parte come plusvalenza. Quindi è di base sconsigliatissimo tentare di usare obbligazioni zero coupon o comunque obbligazioni acquistate a cifre molto inferiori da 100.
Invece si possono usare benissimo le obbligazioni che pagano cedola bassa, ad esempio, durante il covid, molte obbligazioni furono pagate meno di 100 perché in quel momento pagavano cedola nulla, ma erano state emesse a 100. In questi casi, va benissimo ed è possibile compensare.
Quindi il concetto è che, se un'obbligazione è stata emessa a 100, ma è stata successivamente pagata meno di 100, allora è possibile compensare, con le minusvalenze, le plusvalenze che verranno generate dalla vendita dell'obbligazione che abbiamo comprato a meno di 100 ma che era stata emessa a 100.
Rateo
Una complicazione aggiuntiva legata alle obbligazioni riguarda il trattamento del rateo. Come discusso in precedenza, nel contesto delle obbligazioni, se si cede l'obbligazione tra una cedola e l'altra, si ha il diritto di ricevere il rateo dalla persona a cui viene venduta. Tale rateo costituisce una frazione della cedola stessa. D'altro canto, se si acquista un'obbligazione tra una cedola e l'altra, si è tenuti a corrispondere l'imposta relativa a tale porzione di cedola. Di norma, questa imposta è categorizzata come reddito da capitale, con aliquote del 26% o del 12,50%, senza complicazioni apparenti.
Tuttavia, la situazione diventa più intricata nel caso in cui la cedola sia a tasso variabile e il tasso non sia ancora stato determinato (come nel caso di un BTP Italia prima dell'annuncio dell'ISTAT sull'inflazione finale) o se l'obbligazione fosse correlata all'EURIBOR e il tasso non sia ancora noto (solitamente basato sull'EURIBOR di due giorni prima). In tali circostanze, il reddito generato non rientra nella categoria di reddito da capitale, ma piuttosto in quella di plusvalenza, nonostante ciò possa apparire paradossale.
I redditi da ETF NON sono plusvalenze ma reddito da capitale
La tassazione degli ETF ha una folle normativa che presenta peculiari contraddizioni. Quando si vende un ETF con profitto, il guadagno non è categorizzato come plusvalenza, bensì come reddito da capitale. Un dettaglio da sottolineare è che, se la vendita riguarda un qualsiasi altro strumento simile, come un ETC, un ETP o un ETN, allora si configura effettivamente come plusvalenza. La stranezza emerge quando si vende un ETF in perdita, momento in cui si registra una minusvalenza. In questo caso, paradossalmente, la minusvalenza non può essere utilizzata per compensare eventuali plusvalenze derivanti da altre operazioni con ETF. L'aspetto più frustrante è che, sebbene si possano avere minusvalenze da altre fonti, ad esempio obbligazioni o azioni, queste non possono essere impiegate per neutralizzare le plusvalenze degli ETF.
Questa situazione rende gli ETF uno strumento fiscalmente inefficiente, poiché coloro che detengono minusvalenze, come ad esempio nel caso delle liquidazioni degli ETF russi dovuti allo scoppio della guerra in Ucraina, liquidati quasi a zero a causa delle sanzioni internazionali alla Russia, si trovano limitati nell'utilizzo di tali minusvalenze per compensare altre plusvalenze. Si rende necessario ricorrere all'acquisto di altri strumenti finanziari, come ETC o azioni singole, al fine di sfruttare le minusvalenze degli ETF precedentemente liquidati. Un'assurdità che colloca gli ETF in una categoria a sé stante. Tale situazione si estende anche ai fondi d'investimento, soggetti alle medesime regole e tassazioni.
Tuttavia, c'è una luce in fondo al tunnel: è in cantiere una riforma della tassazione mira ad abolire la distinzione tra redditi da capitale e redditi diversi (plusvalenze), uniformandoli in un'unica categoria di redditi diversi. Questo cambiamento semplificherebbe notevolmente la compensazione tra plusvalenze e minusvalenze, consentendo un utilizzo più efficiente delle perdite fiscali accumulate. È, alla data a cui si scrive, già in vigore una legge che dovrebbe obbligare il governo italiano (ad oggi Governo Meloni con Giorgetti ministro dell'economia e delle finanze) a ratificare la legge che permetterà di uniformare tutti i redditi da capitale come plusvalenze, permettendo di compensare le minusvalenze in maniera più semplice. Probabilmente non si riuscirà ad ottenere già nella legge di bilancio 2024 ma forse forse forse sarà in vigore dal 2025.... Ma ad agosto 2024 abbiamo quasi perso le speranze (nota del Prof. in persona!).
La Tobin tax
La Tobin tax è una tassa assurda e praticamente di valore irrisorio (si parla veramente di centesimi). Per approfondimenti su questo si può guardare il video al minuto 35:00 - la Tobin tax.
Questa tassa è stata ingiustamente attribuita a James Tobin, Wikipedia. Ingiustamente perché non c'entra una mazza con quella proposta dall'economista!
Riepilogo
Da questo capitolo devono rimanere due concetti chiave:
- se si hanno delle minusvalenze, è meglio non sperare di poterle compensare con degli ETF o con delle obbligazioni zero coupon;
- le obbligazioni governative hanno una tassazione smaccatamente più favorevole delle obbligazioni corporate.